FABIO BERNARDINI
Scrivere è relativamente facile, difficile è campare da scrittore. Almeno in Italia è un mestiere da vivere come hobby e senza troppe velleità. L’aspirante letterato deve infatti rinunciare a ingenui sogni di gloria, all’illusione di gratificazioni economiche o grosse retribuzioni. Può ambire al successo di vendite soltanto l’autore già finanziariamente agevolato o con buone amicizie, non so se ci siamo capiti… Nel Paese di Dante e Boccaccio non esistono Mecenati interessati alla qualità né istituzioni attente al destino culturale della società. Credo per questo che la cosa più bizzarra mai fatta sia stata dedicarmi alla scrittura. Un moto imprevisto, istintivo, un’occasione di svago che si è trasformata in inesorabile passione. Un amore improvviso, casuale, influenzato dall’ammirazione per Arthut Conan Doyle, Agatha Christie, Alexandre Dumas, Emilio Salgari, Robert Luis Stevenson, Ken Follett, Dan Brown e Patricia Cornwell. Maestri dello stile semplice e veloce, impegnati nella ricerca e sempre attenti all’intrattenimento. Tra gli italiani apprezzo Roberto Saviano, Andrea Camilleri, Carlo Lucarelli e altri autori del sottobosco forse penalizzati dalla scarsa pubblicità. Ho iniziato a scrivere sull’esempio di questi narratori con la massima umiltà e voglia di divertirmi. Ho messo su carta alcune idee che mi svolazzavano intorno, raccolto diversi fogli volanti pieni di spunti, esperienze dirette, fantasie, riferimenti storici, criminologici, ed ecco l’opera. Importante è stato capire cosa intendevo trasmettere e come farlo… A scuola non ero un “secchione” e le maestre stigmatizzavano il mio rendimento col più classico “potrebbe fare di più ma non si applica.” Mai avrei creduto di lavorare con la scrittura… In verità sognavo un futuro da macchinista di treno e passavo le giornate a collezionare figurine di calciatori e fumetti. Ero un bambino calmo, meno discolo di come sono oggi, ma già estremamente socievole. Come tutti gli esseri umani non sono immune dalle contraddizioni. Evito comunque di sprofondare nell’insensatezza. Provo a controllarmi soprattutto nella disponibilità. Darsi troppo agli altri in una società cattiva come la nostra vuol dire passare per fessi… L’altruismo dovrebbe essere il valore primario della vita comune ma le cose non vanno esattamente in questo modo. È infatti così difficile assistere a manifestazioni di solidarietà disinteressate, scevre da volontà di ricompensa e ombre di vanità. C’è sempre un doppio fine, il tornaconto nascosto. Ecco il filo conduttore tematico dei miei testi, un invito all’umanità. Mi piace scherzare e ridere in compagnia, per questo ricerco sempre l’umorismo. “Chi ha il coraggio di ridere è padrone del mondo”, sosteneva Giacomo Leopardi. Nulla di più vero… Nel mio libro preferito, Il Nome della Rosa di Umberto Eco, il terrificante Jorge da Burgos afferma che “… il riso uccide la paura, e senza la paura non ci può essere la fede…” Accolgo la prima parte della citazione come un assioma di vita, l’ultimo aspetto interessante e sorprendente dell’esistenza. Con le parole mi accorgo però di investigare soprattutto negli aspetti profondi e devianti della psiche umana, nelle pieghe storiche dell’evoluzione della specie. Sono fatalista, prendo tutto come viene e non ho piani precisi sul futuro sia come scrittore che come uomo. Sono nato e cresciuto a Roma. Mai mi sono spostato dalla Città Eterna se non per viaggi di piacere. Ho visitato Marocco, Tunisia, Egitto, Spagna, Francia, Austria e le tante bellezze della stupenda Italia. Qualche volta ho sognato di poter vivere negli Stati Uniti, in Spagna o in Australia. Luoghi contraddistinti da vivacità, calore umano e naturale socialità. Mi intriga soprattutto l’opportunità di nuove conoscenze. Sono aperto alla vita, amo avere ospiti, passare tempo con gli amici e dialogare con la gente. Senza confronto non c’è crescita, sentimento, amore. Senza comunicazione il mondo è spacciato. E la letteratura è un modo come un altro per esprimere se stessi agli altri.